L’eco disperata delle carceri italiane, soffocate dal sovraffollamento e segnate da un’onda di suicidi senza precedenti, risuona più forte che mai. I garanti territoriali dei detenuti, in una mobilitazione nazionale, hanno rotto il silenzio assordante della politica, chiedendo a gran voce un intervento immediato: amnistia e indulto. Queste parole, troppo a lungo taciute, riemergono come un’ancora di salvezza per un sistema penitenziario al limite del collasso.
“La Costituzione le prevede, il personale penitenziario le invoca”, afferma Stefano Anastasia, garante del Lazio, con una determinazione che non ammette repliche. “Un provvedimento deflattivo è l’unica via per alleggerire la pressione insostenibile sulle nostre carceri. Parliamo di 15.000 persone che potrebbero tornare alla vita, alla speranza.”
Le cifre sono un pugno nello stomaco: 62.132 detenuti ammassati in spazi progettati per 46.910, un sovraffollamento che supera il 132%. Regioni come Lombardia, Puglia, Veneto e Molise sono le più colpite, con picchi del 214% nel carcere milanese di San Vittore. E mentre le celle diventano tombe, il numero dei suicidi si impenna, una macabra testimonianza della disperazione che avvolge le carceri italiane.
Samuele Ciambriello, coordinatore nazionale dei garanti, ha portato queste istanze al Ministro della Giustizia, incontrando anche le principali forze politiche. “Abbiamo chiesto misure deflattive per 8.000 detenuti con pene residue inferiori a un anno”, spiega Ciambriello. “Ma le porte rimangono chiuse, sorde alle nostre richieste. Eppure, non ci arrenderemo.”
L’amnistia e l’indulto non sono soluzioni facili, né prive di controversie. Ma di fronte a un’emergenza umanitaria senza precedenti, non possiamo permetterci il lusso dell’immobilismo. La politica deve assumersi la responsabilità di scelte coraggiose, capaci di restituire dignità e speranza a chi è recluso, e di garantire condizioni di lavoro umane al personale penitenziario.
Le voci dell’opposizione si levano, chiedendo riforme strutturali, misure alternative alla detenzione, un numero chiuso per le carceri e case di reinserimento sociale. Ma mentre il dibattito infuria, le celle si riempiono e la disperazione dilaga. È tempo di agire, prima che il sistema penitenziario italiano crolli sotto il peso delle sue stesse contraddizioni.